La storia della chimica e della mineralogia a Napoli si faceva presso il Vesuvio. Il vulcano incarnava la capacità della natura di trasformare la materia. Tra chi credeva che ciò fosse un miracolo, e chi invece cercava spiegazioni naturali, molti erano coloro che cercavano di estrapolare dal cuore del Vesuvio il segreto della trasformazione di minerali in liquidi e metalli — un po’ come si vedeva fare (miracolosamente?) al sangue di san Gennaro. Tifo, biotite, mica nera, idrocrosio, pomice, zolfo, lava rossa e nera, sanidino mimetite, ematite, olivina, silicio di carbonio, calcite, sonidio, vesuvianite sono solo alcuni dei minerali che potevano essere rinvenuti in loco. Dalla metà del XVIII secolo, gli studiosi napoletani ebbero a propria disposizione un laboratorio a cielo aperto. Ogni eruzione (e ve ne furono diverse a partire dal 1754) apriva agli studiosi l’opportunità di confrontarsi sui fenomeni correlati e di screditare ogni spiegazione che ricadesse nel sovrannaturale.
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