Baglivi e il Tarantismo

Tra meraviglia e sofferenza

Tra meraviglia e sofferenza

Il tarantismo è un fenomeno euro-mediterraneo che nasce nel basso Medioevo. Le prime attestazioni risalgono al XIV secolo.(1) Il tarantismo si presentava come una ‘malattia’ causata dal veleno della tarantola pugliese (phalangium Apuliae), nota come la ‘taranta’. Il suo veleno provocava euforia, depressione, comportamenti bizzarri e una voglia irrefrenabile di danzare. Oltre alle cure locali, il rimedio più utilizzato era la terapia coreutico-musicale, cioè una terapia basata sulla musica e sulla danza. In realtà, non tutti i tarantati e le tarantate (nome con cui venivano chiamati gli uomini e le donne affetti dal tarantismo) erano stati colpiti dalla tarantola. Il tarantismo, infatti, veniva utilizzato per dare un nome e una terapia a una sofferenza indecifrabile.
Questo fenomeno presentava un’altra peculiarità: le recrudescenze annuali. Ogni anno, all’approssimarsi della stagione estiva, i tarantati e le tarantate avvertivano nuovamente la sofferenza degli anni passati. A quegli uomini e a quelle donne non restava altro che riccorrere nuovamente alla terapia coreutico-musicale.

Diagnosi e terapia

(Giorgio Baglivi 1668-1907)

La terapia più utilizzata era la musica. Secondo diversi autori, la sudorazione, indotta dalla danza, avrebbe eliminato le tossine del veleno. Nel 1621, Epifanio Ferdinando, medico di Mesagne (BR), si domandava:

Perché alcuni ballano un giorno, altri due, altri tre, quattro o cinque giorni e più? Ciò è provocato dalla maggiore o minore energia del veleno della tarantola e dalla maggiore o minore resistenza di chi ha subìto il morso. Perciò se il veleno viene eliminato in un giorno con il sudore, con l’agitazione, con lo scuotimento e cose di questo genere, ballano per un solo giorno, o l’opposto se avviene il contrario. Noi conosciamo parecchi che hanno ballato per due settimane, e altri per due o tre volte in un anno.(2)

Tuttavia, durante la stagione estiva, molti tarantati si ammalavano nuovamente. Secondo alcuni medici del Sei e del Settecento, alcune parti del veleno sarebbero rimaste all’interno del corpo. Il caldo dell’estate avrebbe, successivamente, riattivato la forza del veleno. L’uomo o la donna avrebbe dovuto chiamare di nuovo dei musicisti esperti.

A loro arrivo, i musicisti non avrebbero semplicemente suonato, ma utilizzato diverse melodie per ‘diagnosticare’ il tipo di tarantismo. Secondo la cultura popolare, infatti, il tarantismo poteva essere provocato da tarantole con colori ed effetti diversi. Vi erano tarante ‘ballerine’, ‘canterine’, ‘tristi e mute’ e ‘libertine’.(3) Per capire quale fosse stata la taranta, i musicisti suonavano diverse melodie e, al contempo, mostravano stoffe di colore diverso. Quando i tarantati mostravano una certa simpatia per un colore e una melodia, allora i musicisti continuavano a suonare quel particolare ritmo fino alla guarigione. Ma i musicisti non erano gli unici a offrire delle terapie.

San Paolo, il protettore dei tarantati e delle tarantate

Caravaggio – Conversione di San Paolo

Dal XIV secolo, infatti, per tutto il Mezzogiorno, girovagavano diverse figure chiamate ‘ciarlatani’, ‘sanpaolari’ o ‘sandomenicari’. Alcuni venivano chiamati anche ‘saltimbanco’, perché durante le fiere saltavano sui loro banchetti lignei per offrire i loro rimedi prodigiosi per la cura da avvelenamento.(4)
Tra questi, i sanpaolari avevano un ruolo centrale nel tarantismo. Erano uomini che si consideravano i diretti discendenti di san Paolo e, pertanto, erano immuni dal veleno di diversi animali.

Com’è noto, questi movimenti affondavano le loro radici in quel brano degli atti degli apostoli (28: 1-6) in cui san Paolo, dopo un naufragio, sarebbe approdato sull’isola di Malta. Lì gli abitanti lo accolsero intorno a un fuoco per rifocillarsi. Ma presto un fatto sconvolse i maltesi: mentre Paolo sistemava della legna secca sul fuoco, venne morso da una vipera. Tuttavia nulla successe. Anche il tarantismo è stato influenzato da questo aneddoto. San Paolo protettore dal morso di serpenti venne acclamato anche protettore dei tarantati.

Nel corso dei secoli, il culto di san Paolo si intensificò fino alla creazione di luoghi di culto. Non è un caso che a Galatina e ad Acaya, paesi della provincia di Lecce, vennero erette delle cappelle in onore del santo. In occasione della festa di san Paolo (il 29 giugno), i tarantati e le tarantate venivano trasportati verso la cappella. Lì si abbandonavano sul pavimento tra implorazioni e lamenti strazianti. Nella parte retrostante la cappella, in cui vi era un pozzo dalle proprietà curative. Lo scenario, che si apriva dopo aver bevuto l’acqua, era qualcosa di così kafkiano che il medico Francesco De Raho lo descrisse come una ‘bolgia infernale’: “alcuni di quelli che hanno già bevuto vomitano a loro bell’agio, e i loro conati sono di stimolo per gli altri, i quali anche vomitano, e così le materie abbondanti riversate, si accumulano, si espandono su gran tratto del pavimento della chiesetta, sicché tutti guazzano in una poltiglia fetida”.(5) L’eliminazione delle tossine attraverso il vomito – ma anche la sudorazione – possono essere considerati come ‘momenti essenziali del decorso patologico’ del tarantismo.

Il tarantismo oggi

(Foto della terapia domiciliare scattata da Franco Pinna durante la spedizione del 1959).

Oggi il tarantismo è scomparso. Gli ultimi casi risalgono agli anni Settanta e Novanta del Novecento. Nel 1959, venne organizzata una spedizione dallo storico delle religioni Ernesto De Martino. Alla ricerca presero parte studiosi afferenti a diverse discipline: l’etnomusicologo Diego Carpitella, lo psichiatra Giovanni Jervis, la psicologa Letizia Jervis-Comba, l’assistente sociale Vittoria de Palma, il fotografo Franco Pinna e, infine, le antropologhe Amalia Signorelli e Annabella Rossi. Due anni dopo, nel 1961, venne pubblicato il testo più noto sul tarantismo: La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del sud. Per De Martino, il tarantismo «non era una “malattia”, ma uno strumento di reintegrazione».(6) In questo senso, il tarantismo si configurava come un insieme di pratiche e conoscenze – un ‘istituto culturale’ – capace di dare forma alla sofferenza di quelle popolazioni. In molti casi, infatti, i soggetti non erano mai stati morsi, ma piuttosto presentavano altre patologie. La taranta diventava così un simbolo, un capro espiatorio, al quale attribuire le colpe della propria sofferenza.

Dopo quegli anni, un numero sempre minore di soggetti sosteneva di essere colpito dal tarantismo. Dopo la sua scomparsa, le amministrazioni e le associazioni locali hanno ripreso le musiche tradizionali della pizzica e della tarantella, proponendo eventi e rievocazioni del fenomeno. Vi è stata, dunque, una ‘patrimonializzazione’ del tarantismo.(7) Ciò che resta è una nuova declinazione, definita da molti come il ‘neotarantismo’.(8)

Note

(1). Mina G., Il morso della differenza. Il dibattito sul tarantismo dal XIV al XVI secolo, Besa, Nardò 2000.
(2). Ferdinando E., Il morso della tarantola, in Epifanio Ferdinando e il morso della tarantola, trad. it. Silvana Arcuti, Pensa Multimedia, Lecce 2002, p. 71 (ed. or. Ferdinando E., De morsu tarantulae, in ID., Centum historiae, apud Thomam Ballionum, Venetiis 1621).
(3). De Martino E., La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, il Saggiatore, Milano 2015, p. 98 (ed. originale De Martino E., La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, il Saggiatore, Milano 1961).
(4). Sulla storia e la diffusione di tali figure, Montinaro B., San Paolo dei serpenti. Analisi di una tradizione, Sellerio Editore, Palermo 1996.
(5). De Raho F., Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, Besa, Nardò 2017, p. 31 (ed. or. De Raho F., Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, Tipografia Dante Alighieri Cooperativa, Lecce 1908).
(6). De Martino E., La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, il Saggiatore, Milano 2015, p. 78.
(7). Pizza G., Tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura, Carocci, Roma 2015.
(8). AA.VV., Tarantismo e neotarantismo, Besa, Nardò 2020.

I luoghi del Tarantismo

https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1_SdFzWMhJbzzKhVOMGOV9s6VVkDXNkYS&femb=1&ll=39.730220420588765%2C8.014168802695682&z=4

La bibliografia del Tarantismo

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